Il Sele nella storia

seleRinomatissimo è stato sempre questo fiume presso gli antichi scrittori; sulle sue rive varie pagine vi ha scritto la storia. Lievemente deformato nelle lingue dei vari popoli che si sono succeduti nella regione, il nome ha avuto pressocchè sempre il suono di quello attuale. Probabilmente glielo imposero i Siculi, in tempi protostorici, allorché furono costretti ad abbandonare il Lazio per trasferirsi nelle più sicure terre del Sud, in ricordo di altro fiume omonimo del loro paese di origine. La denominazione più antica sembra sia ( Seila ) come si legge in una medaglia di Paestum e come pressappoco si pronuncia ancor oggi, ma i Greci dissero ( Silaris ) e i Romani Silarus o Siler.
Gli antichi gli attribuirono la proprietà di mutare in pietra qualunque oggetto ligneo che restasse immerso nelle sue acque per qualche tempo. Cominciò Aristotele, il sommo filosofo greco fiorito nel IV sec. A.C., che però lo chiamò Ceto:“ dicono che questi luoghi siano tenuti dai Lucani e che vi sia in questi posti un fiume di nome Ceto, nel quale le cose che vi si gettano, in un primo momento galleggiano e poi si induriscono come pietre“.
Anche il geografo Strabone dice quasi la stessa cosa, chiamando il fiume col suo vero nome: “ i virgulti ( ramoscelli ) immersi nelle sue acque sassificano pur conservando la forma e il colore primitivo“. Il naturalista Plinio è più dettagliato nella sua pur breve notizia: “ similmente nel fiume Sele oltre Salerno, si trasformano in pietra non solo i rami che vi si immergono, ma anche le foglie“.
Con due bellissimi versi Silvio Italico volle trasmettere ai posteri questo singolare fenomeno: “ con quei che beon del Silaro che i rami, / come si narra, entro a suoi gorghi impietra“. Il geografo Raffaele Valaterrano riferisce che il fiume Sele, scorrendo dai monti Sanniti ( voleva dir forse lucani) ha questa proprietà, che i rami in esso immersi, pietrificano.
Agli inizi del 700 un ecclesiastico capaccese scrisse: Il fiume Selo è quello, che dagli antichi, si Greci che Latini fu chiamato Silaro, di cui ha esperienza che cangi in pietra ciocché in esso si gitta, avverandosi quello che da Plinio, da Silio Italico, e da Aristotele sotto il nome di Ceto si riferisce; che ne dica in contrario il Cliverio.SORGENTI 2
 
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